COMMISSIONE PRESBITERALE ITALIANA
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Preti servitori della missione in una comunità responsabile

le polarità costituite dalla ‘sequela’ e dal ‘servizio’ nell’unico cammino del popolo di Dio. E decisivo questo riferimento al popolo di Dio nella sua concretezza storica e visibile, e cioè nella comunità locale e nella comunità diocesana. Nel legame forte e appassionato con la sua comunità e nell’appartenenza alla sua Chiesa particolare e al suo […]
9 Marzo 2006

le polarità costituite dalla ‘sequela’ e dal ‘servizio’ nell’unico cammino del popolo di Dio. E decisivo questo riferimento al popolo di Dio nella sua concretezza storica e visibile, e cioè nella comunità locale e nella comunità diocesana. Nel legame forte e appassionato con la sua comunità e nell’appartenenza alla sua Chiesa particolare e al suo presbiterio, il prete è chiamato ad un unico esercizio, quello della sua fede personale e quello del suo ministero, nella consapevolezza che il dono della fede in Dio ravviva il mandato di farsi carico della fede del popolo affidato e sollecita la passione di ‘dire’ Dio nei diversi contesti di vita. In tal modo il prete, inserito nel popolo di Dio in cammino, può svolgere i ruoli e i compiti che gli sono affidati con quella creatività che gli proviene dalla rinnovata apertura del suo cuore a Dio e dall’azione di Dio nella storia.


Nella figura del prete si gioca una partita decisiva del futuro della Chiesa. La questione del prete non può essere circoscritta ad un ambito particolare o settoriale della vita della Chiesa: essa è questione centrale e decisiva per l’intera comunità ecclesiale. D’altronde la stessa esperienza quotidiana lo attesta chiaramente, come dimostrano – sembra banale ricordarlo – la diminuzione numerica del clero attivo e l’invecchiamento dei preti. Le cifre della diminuzione dei preti in Italia sono significative: erano 66.057 i sacerdoti (diocesani e religiosi) nel 1961, 64.640 nel 1971, 62.861 nel 1981, 57.274 nel 1991, 54.743 nel 2001. Occorre tenere presente che negli ultimi decenni è aumentata la presenza di sacerdoti provenienti da altre nazioni: in alcune diocesi italiane la loro percentuale risulta ormai notevole. Per la situazione di altre Chiese in Europa, si veda J. KERKHOFS (a cura di), Des prêtres pour demain. Situations européennes, Cerf-Lumen Vitae, Paris-Bruxelles 1998. Questa situazione – che segna anche la Chiesa in Italia e, ancor più, altre Chiese in Europa – comporta una serie di conseguenze sia rispetto al presbiterio, sia rispetto alla comunità ecclesiale. Se per quest’ultima si tratta di accettare una problematica ridistribuzione delle "risorse disponibili", per il presbiterio si tratta di ovviare al venir meno di quel clima vitale e comunicativo garantito dall’adeguato equilibrio generazionale, dalla tensione tra l'entusiasmo di chi vive gli inizi del ministero e l'esperienza di chi è nella maturità. Per cui è tutta la realtà ecclesiale ad essere coinvolta nel processo di invecchiamento e di scarsità del clero.
Mi occuperò della figura del prete in rapporto alla pressante richiesta di saper interpretare la nuova stagione religiosa e culturale dell’Italia. Visto che è ormai assodato che pure per la Chiesa italiana non appare semplice trovare soluzioni efficaci e immediate, partirò dalla diminuzione dei preti per focalizzare alcune linee e proposte.
La situazione sollecita innanzi tutto la responsabilità della comunità ecclesiale nella direzione di una più consapevole e più convinta stima per il ministero ordinato, sia presbiterale, sia diaconale. Non si tratta solo di una considerazione positiva dei presbiteri e del loro servizio. Essa è già felicemente riconosciuta ed attestata: i preti, interpreti di molte domande che provengono dal territorio di appartenenza, godono indubbiamente di un largo credito per la loro azione fondata sui valori del gratuito, del dono, del disinteresse, della disponibilità a tutto campo, del servizio educativo, caritativo e sociale. Occorre però andare oltre questo positivo riconoscimento. Si tratta di favorire, a livello ecclesiale, la crescita del significato del ministero nella Chiesa: su questo sfondo appare possibile la promozione delle vocazioni presbiterali.
Una seconda linea di riflessione riguarda più direttamente la figura del presbitero: egli è chiamato, in questo contesto religioso e culturale, ad intrecciare la sua soggettività e il suo ruolo istituzionale. Questo compito è richiesto in particolare dalla molteplicità degli impegni pastorali che possono favorire un attivismo dispersivo, per cui diventa indispensabile una particolare cura per la vita personale, spirituale e culturale del presbitero. Ma il compito è pure richiesto dal maggior risalto della figura di leadership spirituale del prete. Senza sminuire il ruolo di presidenza del presbitero, connesso in particolare alla figura del parroco, oggi appare necessario cercare di coniugare – con saggezza - il ruolo di presidenza, più istituzionale, con la figura di leadership spirituale, più legata al cammino soggettivo-spirituale del presbitero.
L’ultima linea di riflessione riguarda ancora il presbitero in quanto inserito nel cammino del popolo di Dio. Si tratta di tenere insieme

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