Le vicende in varia misura drammatiche che hanno portato alla ribalta internazionale i Paesi del nord Africa e del vicino Oriente hanno prodotto nel corso delle ultime settimane una recrudescenza del fenomeno degli sbarchi di un numero crescente di persone in condizioni disperate in fuga alla ricerca di lavoro e di una vita migliore, di protezione umanitaria. A Lampedusa gli arrivi hanno superato le 20.000 persone, tra cui 400 minori; ma il dramma di un popolo in fuga si sta vivendo soprattutto al confine con la Tunisia e con l’Egitto dove sono arrivate quasi 200.000 persone. Questa fuga, questo cammino di speranza è segnato anche dalla tragedia di centinaia di morti in mare, in numero crescente in queste ultime ore. Il Mare nostrum, il Mediterraneo rischia di diventare cimitero di un popolo in fuga. La Chiesa segue il fenomeno con viva apprensione, assicurando a vari livelli una forte ed effettiva vicinanza a tali persone. In particolare la Conferenza Episcopale Italiana non si stanca di ricordare e intervenire. Anche il recente Consiglio Episcopale Permanente si è occupato del problema, con la prolusione del cardinale Presidente, il dibattito tra i Vescovi, il Comunicato finale – dopo che non poche altre volte organismi e istanze della CEI si erano espressi sull’argomento. D’altra parte, con una popolazione immigrata che ha raggiunto e supera in Italia i cinque milioni, provenienti da 198 nazionalità e con 140 lingue diverse, possiamo ben dire che è maturata una esperienza, si è sviluppata una riflessione, si è accompagnata una conoscenza (pensiamo al Dossier Immigrazione elaborato annualmente da Caritas e Fondazione Migrantes) e una valutazione che possono essere messe ulteriormente a frutto per rispondere alle esigenze crescenti che si manifestano.
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