REGIONE ECCLESIASTICA PIEMONTESE

COMMISSIONE PRESBITERALE REGIONALE

 

 

ESSERE PARROCO OGGI.

IL MINISTERO DEL PARROCO

E I CAMBIAMENTI RICHIESTI DALLE NUOVE PROSPETTIVE

 

Carissimi Confratelli Presbiteri,

anche nell’arco dell’anno (2004-2005) la Commissione Presbiterale Regionale ha scelto un tema per la propria riflessione, ha coinvolto i Consigli Presbiterali della nostra Regione Ecclesiastica ed in seguito ha condiviso questo testo con i Vescovi, nostri responsabili e responsabili delle comunità affidateci, mercoledì 28 settembre durante la sessione della C.E.P. Ora lo riproponiamo in particolare a tutti i membri dei Consigli Presbiterali Diocesani per essere aiutati in un percorso che eviti il rischio di una pastorale affannata e ancora troppo individuale. Come adattarci, infatti, alla nuova condizione che la società umana richiede e ai nuovi ruoli che la comunità cristiana esige, imposti da una trasformazione non scelta ma che ci caratterizza profondamente?

Il tema si è collegato direttamente a quella riflessione già stilata in preparazione all’Assemblea della C.E.I. sul tema della Parrocchia e quella emersa dall’XI Convegno Regionale del Clero. Non si può, infatti, dimenticare che la Nota Pastorale della C.E.I. "il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia" ricorda con forza che si deve attuare una pastorale missionaria. Il difficile è come iniziare a declinarla concretamente a partire dal mondo presbiterale. Questa attenzione alla figura del prete-parroco non è dettata da una preoccupazione clericale, ma dall’esigenza condivisa di accettare noi in prima persona questa sfida.

Riflettendo sulle nostre gioie e sulle nostre fatiche ci siamo resi conto in prima persona del rapido e profondo cambiamento della società nella quale viviamo e con il quale dobbiamo quotidianamente fare i conti. La condizione del parroco fa riferimento ad un ruolo consolidato nei secoli, precisato dalla teologia, descritto dal diritto canonico; quel modello di vita e di ministero, sorto in altri tempi e in contesti sociali diversi, chiede oggi di esprimersi in termini nuovi e si preannuncia il rischio che i preti giochino una partita solitaria e scoraggiante per trovare il loro posto nella comunità cristiana.

"In un epoca segnata da forti conflittualità ideologiche emerge un quadro culturale e antropologico inedito, segnato da forti ambivalenze e da una esperienza frammentata e dispersa… In questo contesto i cristiani sanno di poter essere rigenerati continuamente dalla speranza". Queste parole contenute nella Traccia di riflessione in preparazione al Convegno di Verona ben si addicono anche a noi preti. L’impegno della Commissione Presbiterale intende offrire, nell’arco dell’anno 2005-2006, un contributo significativo al Convegno e sicuramente un’importante occasione per suscitare ed alimentare le ragioni della nostra speranza di credenti e di preti.

 

 

Alcune linee di tendenza.

Abbiamo provato ad esprimere la nostra attuale situazione attraverso alcune linee di tendenza che, ancora in pieno svolgimento, sono destinate ad accentuarsi ulteriormente nei prossimi anni e ad avere un’evidente incidenza pratica sul nostro vissuto di preti.

Molti interrogativi.

Alla luce di questo quadro sintetico il Direttivo ha rivolto alcune domande alla Commissione e a tutti i Consigli Presbiterali della nostra Regione.

> Una comunità cristiana non può fare a meno del riferimento al ministero ordinato, ma la presidenza del parroco non esaurisce in sé tutte le responsabilità.

Come creare concretamente una mentalità aperta alla corresponsabilità con altri preti, religiosi e laici?

> La carenza di sacerdoti può indurci a risolvere il problema con preti provenienti da altre nazioni.

Pur riconoscendo il valore di presenze diverse, come suscitare nelle comunità parrocchiali una reale attenzione vocazionale?

> Pensiamo ad esempio alla figura di un parroco con la cura di più parrocchie.

Come si può essere parroco nel senso di "pastore proprio della comunità affidatagli" (C.I.C. can. 519) e nello stesso tempo essere attento ad un territorio più vasto?

> Essere parroci oggi non è facile. Questo può provocare a volte disagio e sofferenza.

Quale formazione è richiesta per un presbitero chiamato a svolgere oggi e domani il ministero di parroco con competenza e con serenità?

E ancora:

> Come possiamo aiutarci di più come presbiterio: in che cosa e con quali forme potremo meglio farci carico gli uni degli altri?

> Come avere cura di ciascuno di noi e favorire adeguate situazioni spirituali e di vita quotidiana per portare meglio l’impegno richiestoci dalla nostra scelta di vita e dal mandato pastorale ricevuto?

> Quali conversioni (di mentalità, di stile di vita, di disponibilità alla collaborazione, di impegno) ci richiede il lavoro pastorale che siamo chiamati a svolgere nelle odierne condizioni della Chiesa e della società?

> Quali aiuti chiediamo ai nostri Vescovi per svolgere oggi il nostro ministero di parroci?

> Quali loro scelte comuni, a riguardo del nostro ministero, potrebbero incidere maggiormente in tutta la nostra Regione Ecclesiastica?

Tre conversioni per la nostra vita.

Gli incontri della nostra Commissione e dei Consigli Presbiterali Diocesani sono risultati una significativa occasione di riflessione e di scambio a più voci col vivo desiderio di una vera comunione. Si è comunemente d’accordo nel riconoscere che una Chiesa che sta cambiando, o meglio che è cambiata, richiede di rinnovarsi allo stesso modo ai parroci.

Ogni comunità non può fare a meno del riferimento al ministero ordinato, nonostante la diminuzione del clero e l’innalzamento dell’età media. E’ in questa direzione che occorre ripensare particolarmente il singolare ministero del parroco, chiamato oggi almeno ad una triplice conversione.

Una prima è quella spirituale. Nonostante la ricchezza ancora relativamente quantitativa e sicuramente qualitativa dei nostri preti (e per questo dobbiamo imparare ad esserne grati al Signore), il disagio e la sofferenza, il dramma e l’angoscia che a volte caratterizzano il nostro ministero o quello di altri va riconosciuto. L’espressione "facevo di più il prete da vicario parrocchiale che da parroco" ci ha impressionati e portati a considerare come la formazione personale culturale e spirituale e lo svolgimento del ministero siano fortemente condizionati dagli impegni amministrativi e burocratici. Le fatiche con le quali facciamo quotidianamente i conti possono essere affrontate con un costante riferimento all’imitazione di Gesù Buon Pastore. Da Lui apprendiamo che l’arte del semimare non è meno esaltante di quella del raccogliere e non ci stupiamo se oggi sembra prevalere più la prima che la seconda: entrambe sono a servizio del Regno. Resta in ogni caso la prospettiva che altri raccoglieranno ciò che noi avremo seminato. Occorrerà inoltre l’impegno a discernere il senso e lo specifico, l’essenza e l’ordine del nostro agire pastorale, che è condizione per ritrovare l’unità della nostra vita sacerdotale. E’ possibile, infatti, essere pastori solo se si è credenti, discepoli che mentre annunciano e celebrano, sono essi stessi in cammino con coloro che accompagnano. In altre parole si tratta di cogliere che è proprio esercitando il ministero così inteso, che realizziamo la nostra vocazione di parroci. Si pongono in questa prospettiva l’esempio di molte e belle figure di preti, spiritualmente entusiasti e umanamente realizzati.

Contemporaneamente siamo chiamati ad una seconda radicale conversione: quella relazionale (la qualità delle relazioni). Il saper mettersi in relazione con gli altri - vescovo e confratelli, diaconi, religiosi e fedeli vicini e lontani - è essenziale per un parroco, responsabile di una comunità, chiamato quindi dal suo ufficio a promuovere relazioni, pena l’inesistenza o la sopravvivenza larvale della comunità parrocchiale. In particolare il prete non è chiamato alla vita da "single" o alla vita comune (alla maniera dei religiosi) ma alla fraternità sacerdotale, che può esprimersi in varie forme. E’ anche questione di carattere e di psicologia: le doti umane, il saper stare con gli altri, il saper comunicare sono qualità irrinunciabili per un pastore, in primo luogo per il parroco. Ma c’è alla base e come motivo ispiratore una ragione cristologica: in forza del battesimo e dell’ordinazione presbiterale il prete-parroco è un esperto e un fratello in umanità. E’ la stupenda legge dell’Incarnazione, condivisione radicale ed esistenziale: "Il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi". Detto in parole semplici: alla maniera di Cristo, il Buon Pastore, modello di ogni pastore, il parroco, più di ogni altro, è chiamato a mettersi nei panni degli altri e a farsi carico della fatica del vivere della gente. Non si tratta quindi di sola relazione estrinseca, ma intrinseca, proprio come la Gaudium et Spes ha affermato a proposito dell’Incarnazione del Verbo. Il Verbo in qualche modo si è unito ad ogni persona.

Infine una terza conversione ci attende: quella pastorale nella direzione della partecipazione e della corresponsabilità tra le persone e le strutture. A partire dal comando del Signore "perché tutti siano una sola cosa" occorre "fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese più profonde del mondo…. Prima di programmare iniziative concrete occorre promuovere una spiritualità della comunione…" (NMI n. 43). Dovrebbe finire il tempo in cui la pastorale è concepita come azione individuale e verticale del parroco, rischiando la sola cura delle anime e diventare sempre più urgente il pensare l’azione pastorale come impegno di tutto il popolo di Dio. In questa attesa si collocala ricerca di nuove figure di operatori pastorali nella valorizzazione del diaconato permanente e nella formazione di laici competenti in settori specifici. Solo privilegiando la comunione tra i preti all’interno del presbiterio e tra i parroci e le loro comunità si raggiungerà una vera comunione. Il rapporto con la gente, lo stare con le persone ci può insegnare a vivere meglio l’equilibrio pastorale e la corresponsabilità. Su questo fronte dobbiamo superare uno sbilanciamento che vede al presente molte figure e molte responsabilità negli ambiti della catechesi (in particolare quella dei bambini e degli adolescenti) e della liturgia e poche nel servizio della carità e nella gestione delle strutture, degli ambienti, dell’amministrazione parrocchiale. In questo contesto si dovrebbero collocare gli esperimenti delle unità pastorali e di altre forme aggregative parrocchiali, non solo nella direzione di aiuti per qualche servizio, ma di comunione, di progettualità e di collaborazione tra i preti, e dei preti con tutti i membri del popolo di Dio.

Questa triplice sfida e le conseguenti conversioni non possono attendere l’esercizio del ministero o, peggio ancora, situazioni problematiche. Richiedono attenzioni, investimenti e percorsi possibili già durante la formazione del futuro clero. Un discorso a 360° che metta in conto formazione e solidità umane, culturali e spirituali con un’attenzione particolare a lavorare insieme e ad essere mentalmente ‘elastici’. Già in Seminario, infatti, si può correre il rischio di lasciarsi affascinare e prendere dalle molte scadenze e attività pastorali.

Tre attenzioni da avere a cuore.

  1. Il Rapporto con il proprio Vescovo. Una relazione determinante, ma non sempre facile è quella con il proprio Vescovo. Talora si esprime fatica a relazionarsi con il proprio Pastore, del quale siamo corresponsabili e collaboratori nel ministero presbiterale. A lui chiediamo di essere padre anche nell’esercizio dell’autorità gerarchica, chiediamo attenzione e incoraggiamento nei confronti delle sfide di oggi e delle difficoltà del ministero, armonizzando le attitudini personali con le esperienze pastorali.
  2. I preti giovani. Non si è d’accordo su alcune battute troppo facili a proposito dei presbiteri più giovani, nei quali fatica talvolta ad esprimersi una formazione adeguata ai mutamenti richiesti dalla pastorale parrocchiale. Sarebbe importante avere a disposizione qualche presbitero adulto (al limite a livello interdiocesano) che li accompagni e li aiuti a discernere. Sarebbe semplicemente evangelico l’avere serene esperienze di fraternità tra i preti. L’importante per tutti e a tutte le età è il creare un contesto di vere e autentiche relazioni personali e pastorali.
  3. La pastorale vocazionale. Dobbiamo aiutarci a cercare insieme una via d’uscita per l’attuale empasse. Non basta constatare il problema e lamentarcene. L’attenzione vocazionale dovrebbe appartenere normalmente insieme e in termini più espliciti alla pastorale familiare e a quella giovanile sia diocesane che parrocchiali.

 

Torino, 28 settembre 2005

 

 

* Documento presentato alla Commissione presbiterale italiana, Roma – 24/11/2005