Parroci e
parrocchia
in
Emilia-Romagna
1.
Il servizio di collaborazione che la CPR intende fare ai propri vescovi, in
risposta ad una richiesta che, pur nella ristrettezza dei tempi, è stata
accolta con filiale gratitudine, non nasce da un'indagine a largo raggio, ma è
soprattutto maturata all'interno della Commissione stessa coadiuvata da alcuni
interventi «esterni».
2.
Questa riflessione prende corpo in contesto favorevole perché la parrocchia,
oltre a godere di continui e significativi riferimenti nei documenti ufficiali
della Chiesa e del magistero, in questi ultimi decenni è arrivata a polarizzare
in modo appassionato e ampio l’interesse degli studiosi di pastorale in tutto
il mondo. Le molte pubblicazioni a riguardo ne fanno fede.
3.
Nella nostra Regione la parrocchia si presenta come il tessuto connettivo più
connaturale dell'essere Chiesa sul territorio, pur con diversificate fisionomie
locali. Di esse può certamente ripetersi quanto affermato da mons. Corti
all'Assemblea CEI (maggio 2001): la parrocchia è il «luogo ‑ anche fisico
‑ di riferimento e di comunione». Esistono parrocchie ricche soprattutto
di arte e di tradizione, ma se ne incontrano tantissime che sono un vero cantiere
aperto, che godono di una forte struttura, di vivacità progettuale, di una
buona partecipazione dei laici, anche se non sempre riescono a tradurre, in
modo adeguato, l'immagine di “comunità viva”, capace di forte aggregazione.
Certamente sia nell'una che nell'altra situazione risulta ancora importante la
figura del parroco. Da ciò s'impone una riflessione che non può essere completa
se non rivolta anche ai vescovi pastori.
4. In questo passaggio di secolo, l’aspetto di maggior interesse pastorale secondo il quale è utile rileggere la realtà «parrocchia», è la teologia di comunione: questa richiama l’attenzione prima alle relazioni umane e spirituali (vescovo‑presbitero; presbitero‑presbiterio; presbitero‑laici e religiosi; parroco e associazioni‑movimenti gruppi), cioè alla comunità che condivide la Parola e i problemi della vita quotidiana, secondo lo stile dell'«incarnazione» e solo dopo, e subordinatamente alle strutture (patrimonio, risorse economiche, case canoniche, oratori, circoli, strutture sportive, scuole), alla funzionalità dei servizi. La teologia di comunione suggerisce di prestare più attenzione alla comunicazione personale della fede in Cristo risorto rispetto alla tradizionale priorità, seppur essenziale, dell'amministrazione dei sacramenti.
La
nostra riflessione pertanto si è attivata su tre tipi di interrogativi
complementari:
5.
come vive oggi il parroco il suo rapporto con la comunità parrocchiale? Nel
contesto degli attuali continui cambiamenti e degli ambiti sempre più estesi
della nuova evangelizzazione, il parroco vede ancora efficace il suo ministero
o lascia trasparire qualche venatura di stanchezza?
6.
il fenomeno delle unità pastorali per molti segna un punto di non ritorno:
quale valutazione darne per l'Emilia‑Romagna?
7.
come tenere «acceso» il rapporto col proprio vescovo per evitare che eventuali
reciproche attese restino inevase, con detrimento umano e spirituale della
propria vita e del ministero sacerdotale?
8.
Non essendo domande periferiche rispetto alla vita dei presbiteri parroci, pur
nella consapevolezza del proprio limite, la CPR presenta la seguente griglia di
riflessione:
Premessa
A. La positività esistente
B. Alcuni risvolti negativi
1. Alcuni problemi parroco‑parrocchia
2. Le unità pastorali
3. Il rapporto col proprio vescovo.
Conclusione
Premessa
9.
Anche in Emilia‑Romagna la parrocchia è stata, e resta, il caposaldo
della vita pastorale con l'assorbimento del maggior numero di sacerdoti come
parroci. È scontata ancor oggi la tenuta sostanziale della parrocchia come «il
modo connaturale di essere e di operare della Chiesa sul territorio». Il
problema, quindi, non sta in «parrocchia sì, o parrocchia no», ma nel far in
modo che essa corrisponda al meglio al ruolo di comunità che, radicata nel
territorio, trasmette la fede in Cristo risorto. Scrive in proposito Giovanni
Paolo II nella Christifideles laici « la Chiesa posta in mezzo alle
case degli uomini..., profondamente inserita nella società umana e intimamente
solidale con le sue aspirazioni e i suoi drammi…, luogo della comunione dei
credenti e insieme ... casa aperta a tutti e al servizio di tutti» (27).
A. La positività esistente
Da
un esame complessivo della situazione in atto possono essere rilevate queste
positività:
10.
È ormai nello stile di molte parrocchie darsi un progetto organico di attività
‑ a volte costellate di troppe iniziative ‑ sulla scia di quello
diocesano, o sulle indicazioni dell'ultimo sinodo, oppure in forza di una
lettura delle esigenze primarie della gente sul territorio.
11.
È riscontrabile l'acquisizione della parrocchia come «soggetto pastorale»
espressa sia da un buon funzionamento del consiglio pastorale parrocchiale, sia
da una costante sinergia tra liturgia, catechesi e carità con una
significativa convergenza verso un'unica finalità missionaria e sia per la
disponibilità a un collegamento pastorale organico più ampio della semplice
territorialità parrocchiale.
12.
Sono in costante crescita il desiderio e la disponibilità dei laici per corsi
di formazione atti anche a favorire il passaggio dalla semplice collaborazione
alla corresponsabilità in diversificati ruoli pastorali. Restano ancora casi
di resistenza passiva al cambiamento, ma senza una reale opposizione. A volte,
anche in buona fede, è questione di «età» o di sottovalutazione delle
conseguenze, o di abitudini mai smesse.
13.
La dimensione interparrocchiale, anche se in modo ancora filtrato e non sempre
scevro da prevenzioni, sta assumendo una più rilevante importanza, sia come
collaborazione fra sacerdoti parroci che fra laici. Il riferimento al vicariato
o alla zona pastorale rispetto alla vita della singola parrocchia, è un punto
di non ritorno sul quale è auspicabile aprire nuovi e promettenti prospettive.
In questo ambito potrebbe essere aperto il capitolo sui trasferimenti dei
parroci e sul cambiamento di ruolo dei sacerdoti incaricati di servizi
diocesani.
14.
Esiste pressoché ovunque un articolato e vivace impegno catechistico per i
bambini dell'iniziazione cristiana. Le difficoltà delle piccole parrocchie, con
o senza parroco, o con parroco anziano, o senza la possibilità di avere dei
catechisti, hanno costituito, a volte la spinta decisiva verso un collegamento
più organico fra parrocchie, poi allargatosi anche ai settori dell'attività caritativa,
associativa e ricreativa. Di riscontro, non certo positivo, stanno la carenza
pressoché generalizzata di una metodica catechesi degli adulti e, dopo la
cresima, la «classica» fuga dalla parrocchia.
15.
È sempre più estesa l'attenzione al territorio mediata anche da forme di
organica collaborazione con le strutture pubbliche, come ambito in cui “offrire
forme di dialogo e di incontro con tutti coloro che non sono partecipi dei
cammini ordinari della comunità” (mons. Corti).
16.
Resta ancora in attivo la voce volontariato, assai fiorente fino agli anni
scorsi anche in parrocchia, pur presentando, oggi, segni di tendenza contraria.
Resta irrisolto il problema della sua formazione e del suo accompagnamento,
perché la quantità non sempre pari alla qualità, a volte ha ricadute pastorali
(e morali) assai pesanti.
17.
L'ambito della formazione socio‑politica, tanto auspicato dalla dottrina
sociale della Chiesa, trova qualche riscontro, più per convincimento diretto
del parroco che favorito dalla mentalità corrente dei cristiani giovani‑adulti.
Occorre prevenirne l’affossamento.
18.
C'è un pullulare di iniziative relative alla lettura della Bibbia, alla lectio
divina, a scuole di preghiera, ai centri di ascolto, pur restando troppo
spesso manifestazioni non coordinate e prive di un progetto comune ad ampio
respiro.
19.
È discreta la partecipazione dei parroci agli incontri di formazione del clero,
mentre resta ancora troppo selettiva quella relativa ai corsi accademici o di
aggiornamento di alto spessore, come possono dirsi quelli in atto a Bologna
(es. STAB/Studio teologico accademico bolognese e ATP/Aggiornamento teol.
presbiteri).
B. Alcuni risvolti negativi
20.
Pur nella documentata presenza di significative esperienze di vita
parrocchiale, resta l’incapacità di costruire un tessuto omogeneo anche
nell'ambito della stessa «zona pastorale» per la problematica insorgenza di
forme accentuate di isolamento. Determinante risultano, in questi casi, la
figura del parroco la sua ecclesiologia e la sua «religiosità». L'obiettivo
pastorale del conseguimento della santità ‑ proposto dal papa nella TMI ‑
resta ancora «lontano» dalla programmazione pastorale di tante parrocchie e
spesso è giudicato «non proponibile» da vari laici e anche da parte di alcuni
presbiteri‑parroci.
21.
Esiste un ritardo cronico nella lettura e nell'analisi dei «segni dei tempi», o
nella verifica dell'incidenza di forti eventi ecclesiali che si stemperano
rapidamente nella quotidianità. È preoccupante dover sempre rincorrere gli
eventi senza attuare progetti di precompressione, o di prevenzione.
22.
Persiste nell'ambito dei sacerdoti, anche giovani, una certa difficoltà ad
uscire da schemi preconfezionati. Alcune scelte non sono determinate dal
contatto diretto con la propria gente («la base», il «popolo di Dio») quanto,
piuttosto, dalle indicazioni programmatiche dei «leader» o di eventuali guide
carismatiche.
23.
C'è confusione non solo terminologica nell'ambito dei ministeri, sia per quanto
concerne le finalità, il modo con cui i diaconi sono scelti, preparati e
ordinati, sia per la formazione e l'esercizio del ministero del lettorato e
dell'accolitato. Accoliti e lettori, e soprattutto i diaconi, devono dimostrare
di «essere innamorati e testimoni della Parola, dell'Eucaristia e della carità»,
e non semplicemente «brave e pie persone» che possono «fare qualcosa» di
liturgicamente qualificante. Non è sempre ben chiarito lo stretto rapporto fra
ministeri ordinati e ministeri istituiti. Un'attenzione tutt'altro che
superficiale deve essere esercitata sui ministeri di fatto: esiste il rischio
di rendere nebulosi il processo di discernimento comunitario e la
valorizzazione del ministero battesimale dei laici.
24.
Stenta ancora a svilupparsi la teologia del quotidiano (come si dice in AC) a
causa di una continua ricerca, o di ostentazione dello «straordinario» con
conseguente trascuratezza della vita ordinaria come risposta di santità alla
propria vocazione cristiana.
25.
C'è un pesante adeguamento all'adescamento televisivo che non solo distoglie
dall'amore alla lettura, e quindi da un serio aggiornamento culturale, ma priva
molti sacerdoti di capacità di valutazione critica dei messaggi oggi
ricorrenti, e spesso soggiacenti a facciate di un «perbenismo» permissivo e
moralmente delirante.
26.
C'è sproporzione tra l'impegno profuso per i bambini dell’iniziazione cristiana
‑ fino alla cresima ‑ rispetto all'impegno riservato alla catechesi
degli adulti, così come esiste una sproporzione fra la quantità delle messe
rispetto alla qualità della loro celebrazione. Forse è tempo di tornare con
maggior chiarezza anche sulle messe «cumulative» e sulle «elemosine» sinodali!
27.
Non sempre c'è la volontà, ma spesso c'è l'incapacità di attivare una pastorale
parrocchiale che ponga alla base la centralità della famiglia.
28.
Dagli uffici competenti si riscontra un'insufficiente trasparenza dei parroci
rispetto al problema dell'accumulo dei beni, dell'uso del denaro, quando una
non chiara e documentata diversificazione tra amministrazione parrocchiale e
«sostentamento personale». Resta lo scandalo della quasi inesistenza dei
testamenti dei parroci, fonte primaria di problemi di successione parentale e
di abituale esclusione della propria Chiesa diocesana.
29.
Nelle parrocchie è pressoché assente, o comunque troppo raro, l'investimento
sulla formazione. Tanti operatori restano « dilettanti », più improvvisatori
che competenti e non motivati per quanto riguarda l' ambito caritas, la
catechesi, la liturgia e la musica liturgica. Persiste, in molte celebrazioni,
una scelta di melodie, testi e strumenti che di liturgico hanno ben poco!
30.
La partecipazione ai sacramenti dell'iniziazione denota in certi casi un legame
superstizioso e magico con la religione; in altri è vissuta come strumento di
omologazione sociale. Resta minoritario il numero di coloro che la vivono come
una vera espressione di fede nel Cristo risorto. Spesso i presbiteri‑parroci
alimentano le proprie caratteristiche, o quanto meno non cercano di far
lievitare tale espressione, ma finché prevale la valutazione del lavoro
pastorale della parrocchia in termini di quantità e di ricerca di immagine, è
difficile per un presbitero‑parroco entrare nella logica del «pusillus
grex» perché ‑ fra l'altro ‑ a questa consegue l'immagine di
insuccesso di fronte ai superiori e ai confratelli divenendo occasione di minor
gratificazione sia pure sotto il profilo «umano».
1. Alcuni problemi parroco‑parrocchia
31.
Nell'attuale situazione non mancano difficoltà nell'impostazione del rapporto
parroco‑parrocchia, ma è imprescindibile che «il rinnovamento apostolico
della comunità ha bisogno dei presbiteri e dei loro collaboratori. Quanto ai
parroci è la loro figura che va rimeditata dovendo essere totalmente dediti al sensus
fidei, a far gustare la Parola di Dio, a coltivare il sentire di Cristo, ad
accompagnare nella vita spirituale, ad essere padri nella fede» (mons. Corti).
Nell'attuale contesto di rapidi sviluppi e quindi di modalità pastorali
conseguenti al fluttuare della società il parroco non può restare agganciato a
forti stabilità strutturali, mentre deve rimanere integro il suo amore
all'essenziale, alla motivazione fondamentale del proprio mandato, cioè, la
centralità di Cristo nella piena coscienza della sua incondizionata
appartenenza.
32.
Anche se, come già accennato, è abbastanza acquisito il concetto di
parrocchia come «soggetto pastorale» e quindi di comunità capace di una
pastorale non più parroco‑dipendente, la valorizzazione del laicato
secondo la teologia del Vaticano II a volte mette ancora in crisi il parroco
rendendone problematica una serena applicazione.
33.
Il rapporto parroco‑parrocchia, basato sulla premessa di una necessaria
maturità umana, ruota sulla costruzione di una comunità rispettosa della
ecclesiologia per l’aspetto veritativo, dell’antropologia per l'aspetto
operativo e della sociologia per l'aspetto della modalità missionaria.
Esemplificando i termini, il rapporto parroco‑parrocchia scorre bene
quando del parroco la gente può dire che è «uomo di Dio», «uomo della comunione»,
uomo felice di essersi consacrato al Signore dimostrando di essere, come
indica il documento CEI Seminari e vocazioni sacerdotali: servitore
della comunione (23‑24), edificatore della comunità e animatore dei
carismi (41); educatore alla fede (44).
È
questo il «tipo» di prete che ha ancora molto da dire all'uomo di oggi.
34.
La CPR giudica ancora necessaria, seppur in parte superata, la posizione
invocante una «comunità tutta missionaria», mentre ritiene tassativa
l'indicazione di far emergere una «pastorale missionaria» rispetto alla
pastorale di «semplice conservazione». Il dinamismo missionario delle nostre
comunità richiede che siano valorizzati i momenti in cui concretamente le
parrocchie incontrano tutti i battezzati, cosicché si possa «ravvivare il fuoco
della fede e dell'amore che sonnecchia in molti cuori e attende qualcuno o
qualcosa che tolga la cenere e rinnovi la fiamma» (mons. Corti).
La
nostalgia delle posizioni godute quando il profumo del carisma si confondeva
con l’ardore degli anni giovanili, non è per tutti ‑ specie gli anziani ‑
«acqua passata»; si vorrebbe, infatti, che quella fosse «acqua» a cui potersi
dissetare ancora.
Oggi
non è ancora nella mente e nel cuore ‑ anche se lo è di fatto ‑ che
il rapporto tra parroco e parrocchia si possa attivare essenzialmente sulla
esplicita e testimoniata decisione di servire il Signore e Lui nei fratelli.
35.
È superata l'immagine del parroco dalla talare sfilacciata degli anni passati,
che anziché richiamare amore alla povertà e semplicità di vita creerebbe
disapprovazione e compatimento, ma è fuori tempo anche il suo opposto, cioè
quella di un certo «giovanilismo»: neppure al prete giovane è permesso lo
sfoggio di magliette firmate e di stivaletti all'ultimo grido, o la BMW da
sessanta milioni! L'immagine del parroco ‑ oggi che di immagini ci si
nutre dall'alba a sera ‑ necessita di un modo trasparente di vivere in
cui predomini la semplicità, la naturalezza dei modi e dei sentimenti assieme a
scelte confacenti di essenzialità e di pietà liturgica (e non solo
devozionale).
Forse
non è questa la sede opportuna, ma è proprio senza senso, o senza riscontro
concreto nei fatti la domanda: che fine ha fatto, o sta facendo o sta per fare,
la quotidiana Celebrazione delle ore?
36.
L'approdo del parroco è il cuore della sua gente. Il rapporto tra parroco e
parrocchia nasce all'altare, dell'altare si nutre e dall'altare prende forza
per incontrare la gente dentro e fuori la parrocchia, sulla base di una grande
maturità umana. Forse potrebbe sembrare retorica: ma se un parroco non dimostra
di essere innamorato del suo altare, può essere il più geniale dei
«fantasisti», ma rimane carente nel compito di favorire l’efficacia della
Grazia del Signore. Quando non sono in discussione il suo sacerdozio e la sua
consacrazione, ma siano resi trasparenti da una forte carica umana e una
sconcertante volontà di preghiera, l'uomo d'oggi, per quanto distratto, resta
pensieroso.
37.
Il parroco può essere un po' poeta per godere della natura, dei sentimenti e
delle cose belle della vita, ma se tutto ciò non lo rilancia a Chi questa
natura ha creato, queste cose belle ha donato e a Chi i sentimenti belli della
vita ha elevato, non sarà credibile dalla gente, anche se gli «ubbidisce»,
perché dimostra competenza nell'uso delle tecniche sofisticate.
38.
Come non ricordare, pur in un contesto assai diverso, il grido del papa ai
ragazzi di Tor Vergata quando, reagendo diversamente agli scrosci di applausi,
e sorprendendo tutti disse: «Chi siete venuti ad incontrare?... Siate santi,
siate puri, siate le sentinelle del mattino!!». È questo che la gente vuol
sentire dalla voce del suo parroco e che vuol vedere trasparire dalla sua
capacità di amare, accogliere, .perdonare donando, ovunque e a tutti la gioia
della sua consacrazione.
39.
Certamente questo discorso non assolve ‑ come già accennato ‑ da
quello della necessaria maturità umana che è fondamento di credibilità di ogni
forma di ministero sacerdotale. Il processo della formazione umana, forse
troppo disatteso in tempi andati, oggi esige una più serena simbiosi tra
umanità e spiritualità, tra virtù cardinali e virtù teologali, secondo quanto
espresso dal papa: «senza un'opportuna formazione umana l'intera formazione
sacerdotale sarebbe priva del necessario fondamento» (PDV,43), ma il problema
che la CPR pone ai propri vescovi è relativo al modo di tenere attivo questo
processo di formazione permanente umana e spirituale dei presbiteri.
40.
Vi sono situazioni di interiore conflitto nel quale affiora molto spesso una
fragilità che può ingenerare anche stati di insicurezza e quindi di
sdoppiamento di vita. Non sono rarissimi i casi di sdoppiamento di vita
conclusi con l’abbandono (a volte non definitivo) dello stato sacerdotale. La
comunità parrocchiale può diventare una «culla» pericolosa se in essa il
sacerdote si isola e vi si «accoccola» per non sentire stimoli autorevoli da
parte del suo vescovo, oppure per non dare ascolto ai confratelli del suo
presbiterio.
41.
L'armonia del rapporto tra parroco e comunità parrocchiale passa anche
attraverso l'inserimento armonico del sacerdote nell'ambito del presbiterio
diocesano, perché è in seno al presbiterio che un parroco si trova in armonia
con gli altri parroci, con le altre comunità e condivide le esperienze che attorno
a lui nascono e crescono.
Anche
nel rapporto tra parroco e parrocchia la presenza del vescovo è semplicemente
insostituibile. Forse una volta, nel sacerdote parroco aveva predominanza la
riverenza e qualche volta il timore: ora occorre tanta confidenza, familiarità
e condivisione della corresponsabilità della nuova evangelizzazione nella
Chiesa diocesana. La prima a guadagnarci in questa situazione è proprio la
parrocchia nella quale il parroco non va a scaricare la sua bile, ma vive ricaricandosi
di entusiasmo per la gioia di condividere con i suoi parrocchiani la gioia
della sequela di Cristo e la grazia del proprio sacerdozio.
42.
In questo contesto, anche col rischio di qualche ripetizione, con l'intento di
rendere più analitico il proprio servizio ai vescovi, la CPR esprime la
necessità di fare un cenno particolare ‑ anche se sempre solo di cenno
si tratta ‑ sulla demotivazione del ministero da parte di sacerdoti
giovani e, a volte, giovanissimi. Purtroppo questi casi non sono rari in
Regione.
In
tale fenomeno la componente affettiva si inserisce solo in seconda battuta,
dentro a una «crepa» già aperta dalla perdita di senso del proprio ministero
sacerdotale. Alcuni motivi possono essere ricercati anche, se non solo, nelle
tre direzioni già elencate: la carenza di relazione con la comunità, con il
presbiterio e con il vescovo.
43.
È interessante annotare che, a questo proposito, si verifica, negli ultimi
quindici anni, un fenomeno di «crisi» piuttosto diverso rispetto alla famosa
«crisi di identità» degli anni settanta, ma non meno preoccupante, pur se meno
eclatante. Allora gli abbandoni avvenivano rumorosamente, dopo anni di
ministero e cavalcando la contestazione; oggi avvengono quasi sempre
silenziosamente, uno alla volta e ‑ in parecchi casi ‑ dopo pochi
anni o addirittura pochi mesi dall'ordinazione.
Si
possono certo richiamare motivazioni psicologiche (i giovani sono più fragili;
sono superficiali), motivazioni spirituali (pregano poco; non accettano di
fare sacrifici), ma forse non va trascurata l'incidenza di quelle pastorali.
Torna, quindi in ballo, il riferimento alla relazione del presbitero con la
comunità, con il presbiterio e col vescovo.
44.
In riferimento alla relazione con la comunità: occorre maggior attenzione al
«luogo» in cui i preti neo‑ordinati sono inviati a svolgere il loro
iniziale ministero. Il «bisogno» è certamente un criterio, ma non può essere
assoluto. Non c'è niente che dia tanto senso di frustrazione oggi ai preti
giovani come il sentirsi «macinati» in un meccanismo di attività, iniziative e
pratiche a volte anche devozionali e obsolete («che non si possono non fare,
perché gli altri prima di te l'hanno fatto e non sono morti»), in cui si
sentono usati o mandati solo a tappare buchi. Il «pastoral rally» può essere
devastante.
45.
In riferimento alla relazione con il presbiterio: non si dirà mai abbastanza
sulla necessità di recuperare un contatto vivo con il «presbiterio». Circa i
preti giovani è importante anche sottolineare, in questo contesto, la ricerca
della comunione «concreta» (occasioni di incontro, qualche momento di preghiera
comune, qualche pasto comune, alcuni momenti di verifica) col parroco o i
presbiteri con i quali, comunque, si è chiamati a collaborare. La crisi nasce
quando si ha l'impressione di camminare su due strade parallele.
46.
In riferimento alla relazione col vescovo è importantissima la convinzione di
«sentirsi valorizzati dal proprio vescovo». Un prete (tutti, ma i più giovani
in modo speciale) fa anche molte cose senza entrare in crisi se avverte sostegno
e fiducia (e anche richiami, quando occorra) da parte del vescovo; ma va in
crisi facilmente anche facendo poche cose, se avverte mancanza di fiducia o
diffidenza. Certo i vescovi hanno mille cose da fare, ma è proprio impensabile
eliminare qualche «rappresentanza» per curare più direttamente il rapporto con
i preti giovani?
2. Le unità pastorali
47.
Forse il punto discriminante di tutta la problematica attinente alle unità
pastorali sta nel fatto di crederci seriamente oppure no. Anche da parte dei
vescovi. Se non c'è voglia. di attuarle non resta valida neppure la decisa
volontà di restare uniti lavorando con unità di intenti e grande carità. Questo
ancor prima della «specificità del territorio e la teologia del laicato».
48.
Le unità pastorali non sono nate perché vengono sempre più a mancare i parroci
e neppure per distruggere le piccole comunità parrocchiali in disarmo, sono
sorte come un'esigenza di rendere i sacerdoti e le comunità parrocchiali più
corresponsabili e più efficaci nell'adempimento della missione «qui e oggi»
della Chiesa.
49.
Certamente il fenomeno dell'accorpamento di più parrocchie, specie montane,
sotto la guida di un solo presbitero ha influito sul tentativo di
organizzarsi in maniera da garantire alle parrocchie collegate tutti i servizi
che una comunità parrocchiale è chiamata ad offrire: la comunicazione della
fede, l'annuncio della parola, il sostegno spirituale dei laici soprattutto
attraverso la celebrazione della liturgia. Oggi a distanza di quasi un decennio
dal seminario del COP ad Assisi (1993), dopo il quale le u.p. divennero un
fenomeno esplodente, non è più la carenza dei presbiteri a esigere il
cambiamento, ma una nuova configurazione della realtà sociale e culturale.
50.
La «funzionalità» delle u.p. va ancora e meglio verificata e soppesata, anche
perché a volte vi si è fatto ricorso senza averle sufficientemente comprese
nella loro finalità e nella loro conduzione, caricandole di un «plus» di
significato che non rientra nella loro tipicità di «strumento pastorale». Gli
specialisti mettono a base di una giusta impostazione anche la «omogeneità
territoriale» che evidenziando una sorta di unità di vita e di appartenenza,
richieda «un nuovo assetto pastorale».
51.
La prima verifica fatta nel seminario di studio a Bertinoro a cinque anni dal
seminario di Assisi (Dalla necessità alla progettualità, 1999), quello
di Bari (Laici e unità pastorali: verso nuove corresponsabilità ecclesiali,
2000) e l'ultimo seminario del COP ad Anagni (Il presbitero nelle unità
pastorali, 2001) sono indicativi di una situazione che può essere definita
a metà del guado, sia per alcuni punti di non ritorno che si riflettono sulle
u.p. senza dipendere da esse, sia per la doverosa correzione di alcune
impostazioni che sanno più di pianificazione a tavolino che di esigenza di
continuità e di crescita della capacità missionaria delle comunità cristiane.
52. Facendo doveroso rimando a una necessaria documentazione in merito, nel rispetto dello spazio di questa comunicazione, la CPR reputa ineludibile la verifica di due dati fondamentali che stanno a base della costituzione e quindi della conduzione di una u.p.: «la specificità del territorio» e «la teologia del laicato» nell'ottica della Chiesa universale.
53.
Significative, a questo proposito, le affermazioni del papa che nella Novo
millennio ineunte afferma: «È dunque un'entusiasmante opera di ripresa
pastorale che ci attende. Un'opera che ci coinvolge tutti. Si tratta di
delineare con fiducia le tappe del cammino futuro sintonizzando le scelte di
ciascuna comunità diocesana con quelle delle Chiese limitrofe e con quelle
della Chiesa universale (29). Questa prospettiva rapportata alla parrocchia non
può che aprire a una nuova linea di impegno pastorale che meglio attualizzi
l’ecclesiologia di comunione e rivitalizzi il ministero ordinato e l'incremento
della corresponsabilità laicale. Andrà instaurandosi così una nuova strategia
operativa fondata sul sostegno e sull'alimento di una forte spiritualità,
capace di condurre a una «progettualità pastorale» di più ampio respiro
coinvolgendo sacerdoti e laici.
54.
Questa «operazione» concepita secondo le modalità e le finalità che stanno alla
base delle u.p. e ne hanno giustificato la crescita ‑ a volte un po'
precipitosa ‑ certamente non basta da sola a risolvere i molti problemi
dei sacerdoti parroci spesso obbligati, come dicono in Francia, ad un pastoral
rally che fa di un territorio vicariale un ... autodromo. Occorre indirizzare
il parroco a non arroccarsi su una conduzione personalizzata ed
individualistica, ma a pensare ad una forma collegiale nella quale egli, come
sacerdote, ha un compito proprio senza comunque mortificare quello delle altre
componenti ecclesiali, anzi valorizzandole e coordinandole al fine di far
crescere la comunione e l'incidenza della missione.
55.
La comunità dei fedeli con il proprio parroco e la «comunità» dei parroci di
una zona possono far nascere e, poi, far crescere un'esperienza di u.p. che meglio
qualifichi il proprio impegno pastorale come segno di comunione.
56.
A una non troppo ipotetica domanda sui compiti richiesti al presbitero o ai
presbiteri unitamente alle diverse figure pastorali dell'u.p., si può
rispondere che occorre:
63.
Scrive Valentino Grolla: «Questo plesso di luoghi antropologici lanciano un
appello diversificato al presbitero, agli operatori pastorali, alle comunità
cristiane presenti nel medesimo territorio perché una simile operazione non può
venire da un'azione pastorale generica né da una singola parrocchia ingessata
nei suoi confini. Forse non è fuori luogo anche la sola citazione del can. 545
§2 ove parla di un "vicario parrocchiale" che abbia cura in più
parrocchie di uno specifico settore pastorale».
64.
La CPR presentando queste riflessioni non intende elencare cose da fare quanto
evidenziare dei criteri che troveranno innanzi tutto nei vescovi diocesani le
modalità più opportune per la loro attivazione.
3. Il rapporto col proprio
vescovo
65.
È necessario che il rapporto di un parroco col proprio vescovo resti sempre e
comunque «acceso». Il termine «acceso» in questo delicato argomento viene usato
dalla CPR nella consapevolezza che esistono rapporti «spenti» o «fumiganti»,
cioè ridotti semplicemente all'ambito giuridico o considerati di obbedienza
passiva.
66.
In Emilia Romagna è norma quasi congenita ‑ consona anche al carattere
estroverso della gente ‑ avere col proprio vescovo un rapporto aperto,
schietto, rispettoso ma senza affettazione anche se ‑ per logica di
constatazione ‑ può far più rumore il gorgoglio del ruscello della
critica che lo scorrere calmo del grande fiume della stima e dell'affetto,
della confidenza e della reciprocità.
67. È convinzione unanime che la vitalità di una diocesi dipenda in gran parte dal rapporto fraterno, cordiale, sincero e confidenziale tra il clero ed il proprio vescovo. Occorre, però, tenere presente che la maggior parte dei sacerdoti in regione ha un'età compresa tra i 65 e i 70 anni, con una loro particolare psicologia molto complessa e condizionata spesso da delusioni derivanti dal ministero, da amarezze, incomprensioni, malattie, solitudine, stati psicologici tali da rasentare la patologia, fallimenti, situazioni familiari, emarginazioni da parte di confratelli più o meno volontarie e situazioni economiche a volte critiche.
Non
è raro che tornando dopo aver fatto tanti chilometri per correre da una
parrocchia all'altra un prete si trovi con una canonica vuota e fredda e debba
far fronte a tutte le sue necessità magari lontano dal centro ove fare le
provviste.
Queste
situazioni scavano profondamente nell'animo per cui se uno non è animato da
grande spirito sacerdotale, può essere spinto a vivere ai margini del
presbiterio e a diventare indifferente a qualunque iniziativa diocesana.
68.
Ci sono sacerdoti che non incontrano il loro vescovo da anni. Questa è una
sfida per il vescovo che con comprensione, fiducia, bontà cercherà di
incoraggiare recuperando quel sacerdote per quanto ancora può dare. D'ora innanzi
anche i sacerdoti anziani devono essere considerati come i frammenti di
Eucaristia e valorizzati, come ogni persona, per quanto possono ancora dare
per il Regno di Dio.
69.
Il recuperare all'impegno pastorale attivo e responsabile certi sacerdoti è
un'impresa che presenta molte difficoltà. Un anziano non può correre come un
giovane; istintivamente è più incline al passato che alle innovazioni del
presente e quindi fa molta fatica ad accettarlo, soprattutto quando cerca di
valutarlo con il metro dei risultati ottenuti.
Da
questo si comprende l'utilità di studiare, oltre agli incontri diocesani di
carattere spirituale, culturale, pastorale e conviviale col vescovo, anche
altre iniziative utili a fraternizzare (pellegrinaggi, convegni, giornate
sacerdotali, incontri zonali).
Quando
ai vari incontri partecipa un numero di sacerdoti sempre più ridotto, è segno
evidente che non c'è più l’interesse e l’impegno per le varie attività o
iniziative pastorali.
70.
È vero che il vescovo oggi fatica a organizzare la sua giornata perché
tiranneggiato da mille richieste, ma è assai importante che egli riservi ampio
spazio per ascoltare i preti. Quando un sacerdote viene trattato con poca
comprensione, la maggior parte del clero non parteggia per difendere l'operato
del vescovo, ma, al contrario, diventa motivo per far diminuire la fiducia, la
stima e l'autorevolezza del vescovo. «In qualche caso ‑ è scritto in un
intervento ‑ per avere udienza occorre prenotarsi dal segretario perfino
alcune decine di giorni prima».
71.
È convinzione della CPR che il desiderio del sostegno, a volte anche del
conforto e della comprensione del proprio vescovo sia presente nella maggior
parte, se non proprio nella totalità, dei presbiteri diocesani. II sentirsi
valorizzati, ascoltati e accolti dal proprio vescovo è una consolazione alla
quale difficilmente si è disposti a rinunciare, pur sapendo che non sempre le
proprie attese sono compatibili con la responsabilità di chi deve avere di
fronte il maggior bene dell'intera Chiesa diocesana.
72.
Il sacramento ricevuto per l’imposizione delle mani del proprio vescovo
diocesano sta alla radice del dono della comunione e del diritto‑dovere
della corresponsabilità nella comunicazione della fede alla comunità
diocesana, anche se non sempre si riesce a renderla efficace quando insorge
qualche situazione di incomprensione.
73.
L'appello della CPR è quello di poter assicurare i confratelli sulla reale
possibilità di poter contare sempre su di un incontro schietto che non solo
stia a significare una forte maturità umana, prima ancora che sacramentale,
alla luce di quell'intima comunione espressa nel Vangelo dalla condivisione di
vita degli apostoli con Gesù chiamati personalmente a «stare con lui» (Mc
3,14).
Conclusione
74.
Nella convinzione che l'efficacia del ministero sacerdotale dipenda dal saperlo
vivere «nell'unità del presbiterio e nella comunione col proprio vescovo» (PO,
14), i componenti la CPR ‑ con la guida illuminata del loro presidente
mons. Elio Tinti ‑ rinnovano il proprio ringraziamento per il servizio
richiesto. Nel deporlo con molta umiltà nelle mani dei loro vescovi, sono certi
di una necessaria comprensione e della loro benevola accoglienza. Non volevano
né potevano insegnare niente a nessuno, ma l'occasione li ha favoriti nel
rimeditare il proprio personale impegno ministeriale, nella piena gratitudine
al Signore per averli chiamati al servizio presbiterale in questa Santa Chiesa
di Emilia‑Romagna.
Roma,
6 marzo 2002
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